Quando anche annoiarsi diventa un lusso

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Vacanze d’estate. Ieri la famiglia con cui condividiamo il giardino è stata tutto il giorno in barca. Oggi è un giorno di nuvole e di vento: è un buon giorno per bighellonare tra sdraie fuori e poltrone dentro. A metà pomeriggio la bambina di dieci anni dice alla mamma che si sta annoiando; lei, con tutta naturalezza, risponde “la vacanza serve anche per annoiarsi”. Una risposta insolita, ma che subito mi pare molto saggia.

E in effetti, se la vacanza vuole essere un qualcosa di diverso dal resto dell’anno per le nostre vite spesso troppo piene (per necessità e per scelta), allora permetterci uno spazio fisico e mentale per poterci annoiare senza sensi di colpa, questo pare davvero un interessante indicatore di quello stacco che spesso diciamo di volere senza poi cercarlo veramente. Se, quindi, a volte ci capita di annoiarci, proviamo a togliere ogni connotato negativo a questo termine, perché se io ci penso bene, e forse se ci pensiamo bene tutti, dalla noia sono spesso nate le nostre idee più creative e forse anche più autentiche e dalla noia siamo spesso usciti ristorati e pieni di energie.

E con questo lungi da me voler scrivere un elogio della noia come caratteristica di vita, né di sposare appieno il pensiero di Leopardi che “la noia è in qualche modo il più sublime dei sentimenti umani”, ma è pur vero che momenti di noia possono essere molto sani e vanno salutati come una buona notizia, non scacciati con terrore. La noia ci permette di starcene con noi stessi, una pratica che sta sfortunatamente passando di moda.

Questo fine settimana sarò ad un ritiro di meditazione.

E che (anche) noia sia.

 

E se il mio lavoro non mi piace?

Assagioli, il fondatore della psicosintesi, amava raccontare questa  storia, una storia che affonda le radici nel tempo che fu …

LA STORIA DEI TRE SCALPELLINI

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racconta più o meno così … un viandante camminava in un giorno di gran caldo e nel suo cammino incontrò tre scalpellini che lavoravano sotto il sole cocente.

Si avvicinò al primo e gli chiese “Cosa stai facendo?”. E, questi, senza alzare lo guardo e con il volto che esprimeva solo fatica e sofferenza, rispose: “Non lo vedi? Sto sudando!”

Il viandante continuò a camminare finché trovò il secondo scalpellino per fargli la stessa domanda e questi, alzando a malapena lo sguardo, rispose “Non lo vedi? Mi sto guadagnando il pane per me e per la mia famiglia!” e nel suo volto, assieme alla fatica, esprimeva anche un certo orgoglio di provvedere al sostentamento dei suoi cari.

Infine incontrò il terzo scalpellino che, sentendo quella stessa domanda, alzò fiero lo sguardo e con voce ferma rispose con gioia “Ma come, non lo vedi? Stiamo costruendo una cattedrale!”.

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Auguro davvero a tutti, me compreso, di riuscire a fare nella vita quello che ci piace veramente, ma l’augurio più grande e di riuscire comunque a vedere la cattedrale che stiamo costruendo. Da qualche parte la nostra cattedrale c’è, magari ben nascosta o sotto una coltre di nebbia, o forse semplicemente davanti a noi e basta aprire gli occhi e alzare lo sguardo.

La vita è uno stato mentale?

oltre il giardino

Nel bel film “Oltre i giardino” di  Hal Ashby (1979), il protagonista Chance (Peter Sellers) è un giardiniere analfabeta e (apparentemente ?) dalle limitate capacità mentali che, per una serie di fraintendimenti e situazioni equivoche, diventa un punto di riferimento per i potenti della Nazione. Una commedia degli equivoci divertente e sofisticata, eppure da spettatore avevo la sensazione che ci fosse dell’altro. E infatti negli ultimi minuti il film prende una svolta e, in un finale surreale, Chance cammina sulle acque di un laghetto e appena prima dei titoli di coda la voce in sottofondo recita la frase “La vita è uno stato mentale“.

Ma la vita è davvero uno stato mentale?

Sicuramente il modo in cui vediamo, leggiamo ed interpretiamo la realtà che ci circonda influenza la nostra personale visione della mondo e di conseguenza l’interpretazione che ne diamo in senso per noi positivo, negativo o neutro. Quindi l’atteggiamento mentale con cui guardiamo alla nostra vita e a quello che ci succede influenza la nostra percezione della realtà e, in definitiva, la nostra relazione con essa e il nostro esserne o non esserne soddisfatti.

Proviamo a fare qualche esempio concreto.

Se io e voi osserviamo una stessa scena di vita che accade vicino a noi, e la osserviamo anche dallo stesso punto di vista, noi magari pensiamo di aver tutti visto la stessa scena, ma molto probabilmente non è così. Infatti ciascuno di noi avrà visto la sua propria realtà, avendo posto maggiore attenzione più su un aspetto piuttosto che su un altro, più su un’azione piuttosto che su un’altra, senza contare che ad alcuni sarà sfuggito un particolare piuttosto che un altro e che infine ciascuno filtrerà tutto ciò che ha (o crede di aver) visto secondo il proprio sistema di interpretazione e di valori. Quindi alla fine la scena che abbiamo visto sarà stata unica, ma le nostre esperienze di osservazione della stessa saranno molto probabilmente molteplici e alla fine ciascuno avrà vissuto una propria personale osservazione di quello che chiamiamo realtà.

Ma proviamo a fare un altro esempio. Supponiamo di trovarci a vivere uno di quei periodo che non sono caratterizzati da notizie o situazioni né particolarmente negative, né particolarmente positive. La vita sembra scorrere tranquilla senza particolari movimenti, eppure un giorno ci svegliamo e sentiamo una nuova felicità in noi, una felicità che non è figlia di alcun particolare accadimento. Ed ecco che, senza chiederci cosa sia successo, perché in affetti niente di particolare è successo, ci godiamo (giustamente) questa felicità nel qui ed ora. Siamo esattamente gli stessi di ieri, ma in realtà oggi la nostra mente ci permette di percepire meglio le fortune e le meraviglie di cui possiamo godere ogni giorno nella normalità della vita. A me, ad esempio, di recente è capitato, in una simile situazione, di sentire di poter scegliere io se essere felice o meno.

In definitiva chi può dire se la vita è davvero e solo uno stato mentale? Però di certo un sano e funzionale atteggiamento mentale può aiutarci a vivere meglio e a migliorare il nostro benessere.

GRUPPI DI COUNSELING per malati reumatici e per i loro parenti

gruppo

La malattia è un impedimento per il corpo,

ma non necessariamente per la volontà

Epitteto

 

 

Quali sono le finalità?

Saranno formati due gruppi, uno per i malati reumatici e uno per i parenti e per coloro che sono a vario titolo vicino ai malati. Saranno due spazi protetti dove ciascuno potrà portare liberamente, secondo i propri bisogni e desideri, le sue esperienze, difficoltà e il personale vissuto in relazione alla malattia cronica o alla vicinanza a persone malate. Impareremo ad aprirci e ad ascoltare e accogliere l’altro. Alterneremo momenti di condivisione a momenti di formazione e crescita.

Il gruppo potrà così fornire un supporto per affrontare ed elaborare le proprie esperienze.

Chi siamo?

Organizzazione: Associazione ATMaR, sezione Pisa.

Conduzione dei gruppi: Dott. Vittorio Toschi, Counselor Professionista (C.N.C.P.)

Coordinamento: Dott. Massimiliano Pagni, Vicepresidente dell’Associazione ATMaR sez. Pisa.

 

Quando e dove?

Le date:  5 aprile – 19 aprile – 10 maggio – 24 maggio – 21 giugno

Gli orari:        gruppo parenti: dalle 9:30 alle 11:00

                      gruppo pazienti: dalle 11.15 alle 12.45

Il luogo: U.O. di Reumatologia (Edificio 20bis), Azienda Ospedaliera Pisana, via Roma 67 Pisa.

Per favorire il coinvolgimento di tutti i partecipanti, il gruppo potrà avere un massimo di 12 partecipanti e viene richiesto di partecipare, salvo cause di forza maggiore, a tutti gli incontri.

La partecipazione è a titolo gratuito per i soci dell’associazione ATMaR sezione Pisa

Informazioni ed iscrizioni: Massimiliano Pagni tel 3409490839 oppure attraverso i contatti di questo blog